Se ti stai chiedendo se il controllo della salubrità dell’acqua sia un obbligo che incombe sull’amministratore di condominio, questo è l’articolo che fa per te. Nelle righe che seguono andremo a scardinare ogni dubbio sull’applicabilità del Decreto 23 febbraio 2018, n. 18 alla realtà condominiale.
Durante la nostra recente esperienza con il Decreto 23 febbraio 2018, n. 18, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, ci è capitato talvolta di vedere mettere in discussione l’obbligatorietà dello stesso per gli amministratori.
Secondo alcuni infatti il “gestore della distribuzione idrica interna”, a cui viene affidato il ruolo di verifica delle acque, non sarebbe l’amministratore di condominio. Qualcuno, addirittura, metterebbe in discussione il fatto che il Decreto 23 febbraio del 2018, n. 18 si applichi alla realtà del condominio.
La domanda a cui risponderemo in questo articolo è: la verifica della qualità dell’acqua in condominio è un obbligo per l’amministratore?
Indice
ToggleL’amministratore “gestore della distribuzione idrica interna”:oltre ogni dubbio
Coloro che mettono in dubbio il fatto che l’amministratore sia il così detto “gestore della distribuzione idrica interna” si basano sull’articolo 6 del decreto il quale prevede “il proprietario, il titolare, l’amministratore, il direttore o qualsiasi soggetto, anche se delegato o appaltato, che sia responsabile del sistema idro-potabile di distribuzione interno ai locali pubblici e privati, collocato fra il punto di consegna e il punto d’uso dell’acqua”.
La tesi sostenuta da coloro che negano una responsabilità dell’amministratore sarebbe quella secondo la quale nell’articolo 6 vengono indicate più figure, che sono fra loro alternative e quindi intercambiabili. Secondo alcuni infatti non sarebbe de iure l’amministratore il responsabile, ma potrebbe di fatto essere anche un altro soggetto.
Ora, dovendo provvedere a disciplinare più casistiche è chiaro che una norma debba tenersi il più larga possibile nel prevedere molteplici ipotesi adattabili alle singole fattispecie. Saranno poi le norme specifiche a delineare quale sia l’applicazione al caso concreto.
Se pensiamo al condominio, dobbiamo innanzitutto ricordare che l’articolo 1117 del codice civile prevede che gli impianti idrici – di cui in oggetto – siano compresi fra le parti comuni. Allo stesso tempo, l’articolo 1130 del codice civile, prevede che l’amministratore sia tenuto a disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini, erogando le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e compiendo gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio.
Da tali prescrizioni legislative emerge l’obbligo in capo all’amministratore di vigilare sulle parti comuni dell’edificio, provvedere alla loro conservazione e ad adottare tutte le misure necessarie alla sicurezza dei condomini e dei terzi.
Sul punto, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che
“L’amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini. Quest’obbligo non viene meno neanche nell’ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell’edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall’amministratore” (Cassazione, sez, III, nella sentenza 25251 del 16 ottobre 2008)
In virtù di ciò, pertanto, non può non riconoscersi in capo all’amministratore il dovere di monitorare che gli impianti idrici – parti comuni – non possano causare qualsivoglia danno ai condòmini o a terzi.
Se leggiamo quanto previsto dal codice civile e dalla giurisprudenza, in connessione con il Decreto acque, appare ancora più chiara la responsabilità dell’amministratore. Il Decreto infatti può essere letto come una normativa – di carattere speciale – sulla gestione delle parti comuni in riferimento agli impianti idrici.
L’art. 2 comma 1 lett. h del Decreto definisce “l’impianto idrico interno” come la rete di tubi e componenti che distribuisce l’acqua potabile all’interno di un edificio, collegando il punto di consegna (dove si trova il contatore generale) ai punti di utenza (i rubinetti).
Il “punto di consegna” segna il confine tra la responsabilità di quello che il decreto chiama il “gestore idro-potabile”, che garantisce la qualità dell’acqua fino a quel punto, e quella dell’amministratore di condominio, che è responsabile della qualità dell’acqua all’interno dell’edificio.
“Valutazione e gestione del rischio” e “edifici prioritari”: un chiarimento
Alcuni sostengono che il Decreto acque non sia applicabile al condominio perchè l’articolo 9 prevede che “I gestori della distribuzione idrica interna effettuano una valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione idrica interni alle strutture prioritarie individuate all’allegato VIII”. Fra le strutture presenti in questo allegato non rientrano i condomini, è vero. E quindi?
L’articolo prevede che i gestori della distribuzione idrica interna debba svolgere, fra le altre cose, anche un valutazione e gestione del rischio per quelle strutture che per le loro caratteristiche vengono considerate come prioritarie. Questa operazione non è da confondere con l’ordinaria verifica della salubrità delle acque, ma consiste in una procedura articolata e complessa destinata a realtà particolari, che richiedono un maggior livello di controllo.
Per chiarire ogni dubbio, basta infatti leggere l’articolo 5 comma 3 del decreto, che attribuisce al gestore interno (nel caso del condominio l’amministratore), il dovere di assicurare che “per le acque fornite attraverso il sistema di distribuzione interno” – senza alcuna differenza fra edifici – “i valori di parametro stabiliti dal decreto, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto di utenza all’interno dei locali pubblici e privati”.
L’articolo 23 comma 1 lettera prevede infatti che il gestore della distribuzione idrica interna (l’amministratore) che viola le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 3 (e quindi le disposizioni che impongono all’amministratore di far sì che i valori di parametro di cui al comma 1, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto di utenza all’interno dei locali pubblici e privati) è punito con la sanzione pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro.
Non estendere l’applicazione del decreto all’amministratore e al condominio sarebbe incompatibile con l’articolo 1 dello stesso decreto che nel definire gli obiettivi prevede “la protezione della salute umana dagli effetti negativi dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano”, definendo poi queste all’articolo 2 come “tutte le acque trattate o non trattate, destinate a uso potabile, per la preparazione di cibi, bevande o per altri usi domestici, in locali sia pubblici che privati”.
Dunque acque destinate al consumo umano per uso domestico. Chi, se non il condominio?
Autore
-
“Avvocato già iscritto all’Albo presso l’Ordine degli Avvocati di Torino. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Torino con tesi in materia di Big Data e rispetto del Regolamento Europeo per la protezione dei dati personali (GDPR). Specializzato in diritto della privacy, diritto penale e responsabilità civile”.
Visualizza tutti gli articoli